Una battaglia trasversale di civiltà
In genere il dibattito fra chi discute partendo da opinioni già consolidate sul tema scuole paritarie, oltre a diventare una sterile e inconcludente disputa, si conclude quasi sempre con il trinceramento dietro questi due punti di vista: integralisti laici e cattolici.
La verità, purtroppo, è che la buona scuola pubblica paritaria italiana, quella che educa persone che non si fanno esplodere e che non tagliano teste, sia essa di tradizione laica o cattolica, sta morendo. E non è solo un fattore economico, quanto piuttosto di un gigantesco disatteso investimento educativo e culturale. Chi ci governa ripete quasi come un mantra che l’Italia ha bisogno di speranza, ma questa aggiungiamo noi, ha due bellissimi figli: uno è lo sdegno, l’altro è il coraggio. Lo sdegno di riconoscere la realtà, i propri errori e il coraggio per cambiarla. La realtà, e quindi lo sdegno, ci dice che nel 2014 le scuole paritarie coprivano circa un milione di studenti, oggi 980mila su un totale di otto milioni (il 12%), ma costano allo Stato solo l’1% di quanto viene investito nell’istruzione pubblica. E’ bene ricordare che una politica miope, dal fiato corto, incapace di porre al centro lo studente, ha portato nell’ultimo triennio alla chiusura di 580 scuole pubbliche paritarie e alla conseguente perdita di 20 mila allievi della scuola superiore, privando così 75 mila famiglie della libertà di scegliere.
Un dato drammatico ma veritiero: l’ISTAT segnala come ci troviamo in coda alla classifica europea nella spesa destinata all’Istruzione in rapporto al PIL, appena il 4.6%, vale a dire poco più di 70 miliardi. Siamo invece al 47° posto, quasi ultimi al mondo tra i Paesi civili in termini di libertà di scelta educativa; ci supera perfino la “ex rossa” Mosca di Putin.
La realtà purtroppo ci dice che lo Stato italiano ha ridotto in così tale schiavitù i propri cittadini, da essere oramai incapaci di rivendicare il loro diritto costituzionale, non solo di poter mettere al mondo dei figli e di essere quindi madre e padre, ma di scegliere liberamente come educarli.
È l’altra faccia della “Buona scuola” di Renzi, che colpisce le scuole paritarie dopo averle praticamente ignorate (nella Legge 107 la parola “paritaria” compare solo due volte in 212 commi, nonostante la parità scolastica della legge Berlinguer del 2000), evidenziando una scuola statale (41mila sedi in Italia), intesa come gestita direttamente dallo Stato, talmente degenerata da costringere le famiglie a pagare delle tasse mascherate (“contributo volontario”) pur di consentire ai propri figli di frequentare una classe in condizioni igieniche e di sicurezza più o meno accettabili. Eppure gli esempi non mancano, ci sono casi in Europa, anche in Paesi a forte tradizione statalista – la Francia – o socialista – i Paesi scandinavi – in cui le scuole paritarie pubbliche non statali eguagliano o superano in percentuale quelle di origine Statale. Anche perché allo Stato non conviene gestire Scuole, mentre deve controllarle. In questi sistemi il principio della libertà educativa viene rispettato e innesca un processo virtuoso di ricerca continua della qualità dell’insegnamento, a beneficio in primis di bambini e studenti.
Questa, oltre la garanzia della libertà di scelta della famiglia, dovrebbe essere la vera emergenza che lo Stato è chiamato ad affrontare. Ci si domanda quale tasso di civiltà possa pretendere un Paese che ha generato un sistema scolastico classista, regionalista e discriminatorio.
sr Anna Monia Alfieri
srmonia@yahoo.it