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Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro

Cristo-ricaIn quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».


In questa settima domenica del tempo ordinario, siamo condotti al cuore del primo dei cinque grandi discorsi matteani, e al cuore dello stesso annuncio evangelico. Il testo, infatti, culmina nell’esortazione più sconvolgente che possa essere rivolta ad un essere umano: “siate come Dio”! (v.48).

Ogni volta che ascoltiamo il discorso che il Signore Gesù ha pronunciato sulla montagna, ci rendiamo conto che ci troviamo davanti a molto più di una semplice raccolta di sentenze dottrinali e morali. Molta folla lo seguiva per ascoltarlo e per essere guarita; la maggior parte era gente povera, bisognosa di cure, di perdono, di consolazione, di luce… E Gesù inizia il discorso più bello ed esigente di tutto il Vangelo, affrontando molti temi sociali e religiosi dell’uomo di ogni tempo.

Il Figlio di Dio è venuto a portare a compimento l’antica Alleanza custodita dalla Legge mosaica; rivelando definitivamente Dio Padre, ci svela il progetto più folle che la Trinità ha desiderato da sempre per noi: renderci partecipi della Sua Divinità!

Ascoltando queste ultime due antitesi, che riguardano la vendetta e la relazione con il nemico, ci sentiamo condotti davanti ad un abisso d’amore che ci spaventa non poco. Nei versetti precedenti, Gesù ha dichiarato l’identità del nuovo credente, chiamato “beato” (5,3-12), il suo ruolo in mezzo agli uomini come luce e sale (5,13-16); ha annunciato la giustizia superiore, che deve caratterizzare il vivere concreto (5,20) e, con le antitesi, esplicita come questa nuova giustizia si manifesta nel quotidiano. Ebbene, chi non si sente inadeguato, incapace e confuso davanti a tali affermazioni?  Porgere l’altra guancia a chi ti percuote, rinunciare ai propri diritti fondamentali (la tunica si toglie solo a colui che sta per essere venduto come schiavo) e addirittura amare i propri nemici, ci sembra una richiesta quantomeno utopica! Sì, questo ci spaventa e a ragione, perché normalmente ascoltiamo questo annuncio a partire da noi stessi, riducendolo ad ulteriori prescrizioni morali che appesantiscono la nostra coscienza e alimentano inutili sensi di colpa. Ma il Maestro non parla a partire da noi, bensì da Sé Stesso! Egli può invitarci a fare ciò di cui non siamo capaci, perché è Lui che vive in noi e ci rende partecipi dell’Amore Divino, che è pacifico e pacificante, libero da ogni condizionamento e schiavitù, gratuito e grande tanto da superare ogni inimicizia… E’ accogliendo questo annuncio che Paolo dirà: “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di CristoPerciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,9b-10). Un paradosso che trova la sua logica nelle parole di Cristo stesso: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9a).

Porgere l’altra guancia, allora, non è semplicemente un gesto di non-violenza, ma è l’espressione di quella forza dell’Amore che libera l’aggressore dalla propria violenza, come fa il Signore Gesù quando si lascia schiaffeggiare. Lasciarsi spogliare da ogni diritto personale, non è solo accettare pazientemente le umiliazioni, ma è riconoscere la propria identità e dignità, nell’essere figli di Dio, come il Figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo e condivide la stessa natura divina del Padre. Amare i nemici, infine, non è solo assumere un comportamento simile a quello del Padre celeste, ma è lasciare che in noi si realizzi e si manifesti quella pace che il Signore Gesù ci ha conquistato sulla Croce, dove “ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizione e decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,14-16). Se, infatti, ci fermiamo a considerare la vera radice dell’inimicizia, non faticheremo a trovarla dentro il nostro cuore. Per questo il Figlio può invitarci ad essere come il Padre, uguali a Lui, che è l’unico Amore gratuito. Gesù è la riconciliazione definitiva, Colui in cui si realizza la vera Pace con Dio e con gli uomini, Colui che ha distrutto l’inimicizia radicata nei nostri cuori, rendendoci così capaci, attraverso lo Spirito Santo, di quella “perfezione” che, più che essere il superamento di ogni difetto, è la compiutezza della nostra natura umana assisa alla destra del Padre.

Questo è l’annuncio che il Maestro grida alle folle bisognose di Lui, all’uomo di ogni tempo che, abitato dall’Amore, diventa il tempio in cui risplende lo Spirito di Dio che rende possibile lo “straordinario” a cui siamo chiamati (v.47).

 Paola Agnese Marinangeli, sfa