A Roma le suore Battistine aprono ogni notte la cripta di una chiesa, all’interno di una casa di cura privata, per ospitare una ventina di persone senza fissa dimora. È quanto sta accadendo in questi mesi a Villa Benedetta, nel quartiere Boccea: una struttura di proprietà della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista ma affidata in gestione a un’impresa di medici e professionisti della sanità. L’iniziativa è partita volutamente in sordina, dopo l’appello di Papa Francesco, che ha chiesto di aiutare i clochard nei giorni più duri dell’emergenza freddo.
Le religiose, che qui hanno la casa generalizia con 37 suore tra cui molte anziane, hanno chiamato don Raffaele Buono, attivissimo sacerdote della vicina chiesa di San Leone, responsabile della storica associazione La.Va. (Lavoro Vagabondo), che dal 1995 opera sul territorio con una cinquantina di volontari per dare aiuti ai senza dimora: “Senza pensarci troppo, le suore ci hanno offerto spontaneamente un luogo molto caro, dove celebrano le principali festività e liturgie. Vogliono rispondere all’appello del Papa e mettere in pratica il carisma del loro fondatore Sant’Antonio Maria Fusco”. Così, in meno di una settimana, il 21 gennaio, si sono aperte le porte della cripta sotto la chiesa, all’interno della struttura sanitaria immersa nel verde. I volontari della La.va. hanno immediatamente allestito la sala, mettendo a disposizione letti, coperte, cuscini, sedie. Si alternano ogni notte, insieme ad un operatore fisso, nell’accoglienza. Per ora l’idea è di proseguire l’attività fino alla fine di aprile, poi si valuterà. Fino ad oggi l’esperienza è stata più che positiva.
Mentre lungo Circonvallazione Cornelia il traffico serale scorre frenetico e gli studi medici si avviano verso la chiusura, alle 20 cominciano ad arrivare gli ospiti. Attualmente sono 21: italiani, romeni, bangladesi, un iracheno e alcuni ragazzi africani sbarcati in Sicilia nei mesi scorsi, sistemati temporaneamente qui su richiesta della Croce Rossa. Scendono le scale sotto la chiesa e vengono accolti con ricchi panini vegetariani e pizzette (per rispettare i musulmani) e, stavolta, perfino frappe e castagnole, i tipici dolci romani di Carnevale.
La sveglia è alle 6, con i cornetti e il thè caldo che le suore portano ogni sera in grandi thermos. Dopo la cena veloce qualcuno si mette a dormire, un gruppo di romeni gioca a carte, i ragazzi del Gambia, del Ghana e del Senegal chiacchierano tra loro seduti sui letti. Si sono dichiarati minorenni ma in assenza di documenti e in seguito agli accertamenti è ancora mistero sulla loro vera età. Sono qui in attesa di essere destinati a qualche centro di prima accoglienza, di giorno frequentano il corso d’italiano. Hanno fatto tutti il viaggio della speranza sulla rotta mediterranea attraverso il deserto, la Libia e i barconi. Soccorsi in mare qualche mese fa. Sono alti, giovani e forti. Loro ce l’hanno fatta.