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“Farò la Pasqua da te!”

palme-cvAl termine del cammino dell’iniziazione cristiana degli adulti, prima di ricevere il battesimo, il catecumeno è chiamato ad accogliere e proclamare il Signore Gesù come acqua viva (Vangelo della samaritana), luce (Vangelo del cieco nato), risurrezione e vita (Vangelo della risurrezione di Lazzaro). L’adesione alla fede in Cristo però, non avviene una volta per sempre. Pur essendo un dono che riceviamo nel sacramento, ha bisogno di essere rinnovato ogni giorno, ogni istante della nostra vita, finché dura il nostro pellegrinaggio. Così, in questa domenica in cui riviviamo l’entrata regale di Gesù a Gerusalemme, siamo chiamati di nuovo ad accogliere Colui che viene a salvarci. Il Messia atteso da secoli, il Liberatore che toglie il peso della schiavitù, il Re che viene a regnare nella giustizia e nella pace, giunge mite, «umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Zc 9,9), senza violenza o dimostrazione di potere. Al suo arrivo, tutta la città freme di “agitazione” (Mt 21,10); il verbo usato è lo stesso impiegato per i terremoti (Mt 27,51; 28,4; 8,24; Ap 6,13). La città è turbata come nel momento della sua nascita (2,3), come spesso accade a noi quando Dio irrompe con la sua tenerezza nella nostra vita. Ed ecco che siamo chiamati a gioire per la debolezza che Dio assume in suo Figlio, e di conseguenza per la nostra stessa debolezza, che diviene il luogo dell’incontro con l’Altissimo. La mitezza spesso viene letta come sottomissione dei perdenti, mentre Gesù ci ha mostrato come sia la forma più alta di forza e di determinazione d’amore. Da quando la Parola si è fatta carne, la nostra fragilità è stata fecondata dalla sua divinità, ma era necessario che il Figlio scendesse nell’abisso della disobbedienza umana per ricondurci al Padre e renderci capaci di Sé. Tutto il racconto della Passione ci fa prendere coscienza dell’abisso del nostro cuore, traditore, capace di rinnegare, di torturare e crocifiggere gli altri; e del cuore di Dio, amante senza giudizio, gratuito dono di misericordia che ci guarisce.

Nel Getzemani Gesù, prima di affrontare le torture fisiche che lo aspettano, vive la tortura più dolorosa dello spirito. Poco prima di prostrarsi nell’angosciosa preghiera “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!”(26,39), Gesù afferma che la sua anima è triste fino alla morte (26,38); è dunque il momento della morte della sua anima! Il Figlio si nutre continuamente della volontà del Padre (Gv 4,34), è la sua vita; ma ora sperimenta un altro volere in sé stesso, il desiderio di trovare un’altra via rispetto a quella scelta dal Padre. È vero che vive questa lotta con la stessa paura e angoscia che prova qualsiasi uomo di fronte alla morte, ma è anche vero che lui è il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre. Sperimentare questo volere distinto da quello del Padre, dev’essere stato per il Figlio un dolore atroce, la morte della sua stessa anima. Ma era necessario che entrasse in quest’abisso di tristezza perché noi siamo lì, proprio in quella spaccatura che è la nostra disobbedienza. Dicendo: “passi da me questo calice”, Gesù fa sua la nostra disobbedienza, e proclamando: “però non come voglio io, ma come vuoi tu!”, rimette ordine nel nostro caos; sanando definitivamente la distanza tra noi e il Padre, fa brillare la sua luce nelle nostre tenebre. Dopo averci preso con sé nella nostra disobbedienza, continua la nostra guarigione attraverso le sue ferite sulla Croce, fino al culmine della morte stessa, dove il suo Cuore si spalanca a noi come un torrente in piena unendoci a sé per sempre.

In questi giorni santi che ci conducono alla Pasqua, lasciamoci conquistare da questo amore ineffabile che nella sua Passione per noi ci vuole con sé.

Sr. Paola Agnese Marinangeli, sfa