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Un invito a una comunicazione costruttiva

Un invito a una comunicazione costruttiva

Il Messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2017

ComunE’ una esigenza e un impegno poter ‘comunicare speranza e fiducia’ nell’uomo e nella storia, nel presente e nel futuro; di favorire la ‘cultura dell’incontro’ tra gli uomini e i popoli. Ed è un dovere di chi opera nell’ambito formativo e nei media, di chi tesse le reti della comunicazione.

Sta a lui saper guardare la realtà, le cose, le culture, gli avvenimenti, con occhi limpidi, in cui non ci sia ombra di egoismo, di interessi personali, di pregiudizi, di arrivismo, di lotta nei confronti di chi non condivide le proprie idee e il proprio credo politico o religioso. “Per offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della buona notizia”, è importante, scrive papa Francesco, mettere gli occhiali giusti, avere occhi limpidi.

Non anestetizzare le coscienze

La vita umana non è solo un susseguirsi si avvenimenti; è una storia vissuta nei suoi molteplici eventi che necessitano di essere raccontati. Come quando si guarda o si studia un’opera d’arte, è necessario ammirarla sia nel suo insieme che nei particolari e da diverse angolature, così quando si fotografa un avvenimento umano e lo si ‘racconta’, con parole e immagini, è necessario scegliere parole, luce e inquadrature giuste, la scelta di una opportuna chiave interpretativa, nonché uno sguardo limpido, sorretto da ‘occhiali’ che non tradiscano la verità dell’evento.

Quanti disastri, quante povertà, quante lacrime, quante guerre! La realtà non ha un senso univoco, e il ‘raccontare’ non è scevro di sentimenti nel narratore e interpretatore; sentimenti e moti d’animo che richiedono di incontrarsi con quelli che sono oggetto e testimoni degli eventi da guardare, commentare, interpretare, comunicare. Allo sguardo dell’operatore mediale si presentano situazioni che non possono e non debbono lasciare indifferenti. ‘Raccontare’ è la parola d’ordine, ma implica anche il comprendere e commentare, affinché si possa dare una risposta e indicare una soluzione al perché di tanto dolore e tanta violenza. A nessuno viene chiesto di comunicare ogni cosa senza una chiave interpretativa e il tentativo di offrire una ‘via d’uscita’ a quanti soffrono violenza, povertà, negazione dei diritti. Tutto, per non anestetizzare le coscienze e per ‘non scivolare nella disperazione’.

Gli operatori mediali – della stampa, della radio e televisione, della Rete, dei social – non possono ignorare nella comunicazione i vari drammi del nostro tempo, come le moltitudini di migranti che cercano a fatica una terra che li accolga, o le disuguaglianze sociali che spingono i poveri sempre più in basso, e neppure dovrebbero scadere in un “ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male”, ma debbono essere dei ‘fari’ che “illuminano la rotta e aprono sentieri di fiducia e speranza”

E’ indispensabile comunicare eventi ed eventuali responsabilità, condannare ciò che è condannabile, evidenziare il positivo che emerge in persone, fatti, culture. La “disinformazione -affermò papa Francesco una recente intervista – è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l’opinione in una direzione, tralasciando l’altra parte della verità. Invece i media devono essere sempre limpidi, molto trasparenti, e non cadere nella malattia della coprofilia, che è voler sempre voler comunicare lo scandalo”.

Con il suo Messaggio papa Francesco vuole dare “un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo di protagonista”, ma “di mettere in luce possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone fruitrici della notizia. A tal fine invita ad offrire all’umanità “narrazioni contrassegnate dalla logica della buona notizia”, quindi dalla logica del Vangelo.

Anestetizzare la coscienza o farsi prendere dalla disperazione, leggiamo nel Messaggio, sono due possibili malattie alle quali può condurre l’attuale sistema comunicativo. In mezzo a tale frastuono si ode un sussurro: “Non temere, perché io sono con te”.

L’espressione “Non temere”, presente 365 volte nella Bibbia è un invito alla fiducia, un invito alla speranza. E’ una parola consueta per Gesù, ed è una espressione molto familiare per ogni Paolino e Paolina. Il “non temere” che il Fondatore udì dalla voce del Cristo, in un sogno del 1923, quando guarì in modo prodigioso da una grave malattia, segnò e segna la vita dell’intera Famiglia Paolina. In ogni nostra cappella risuona questa parola che ci rassicura: “Non temere!”.

“Non temete, io sono con voi, di qui voglio illuminare”. E’ un invito a porre la fiducia nel Maestro, così come la posero gli apostoli quando furono presi la paura e panico allorché barca stava affondando, così come la pose Paolo dopo il suo incontro a Damasco, e prima di lui Giuseppe, Maria.

Sono state lapidarie le parole che papa Giovanni Paolo II pronunciò all’inizio della sua elezione al Pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economico come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo”. Parole che, alla luce della storia odierna, appaiono profetiche. Non abbiamo paura! Dio è un Padre buono che non lascia senza il suo aiuto nessun uomo e nessuna donna, nessun popolo o nazione.

Anna Pappalardo