Umano come solitudine
Capita, ancora oggi, di raccogliere l’espressione: solo Dio sa quante ne ho passate! Quando, dominati dalla sensazione che delle proprie sventure non importa niente a nessuno, si sente Dio come l’occhio a cui nulla sfugge del proprio lamento, è ossigeno per l’anima.
E la certezza che almeno Uno sa tutto di ogni sua creatura dà senso anche alla vita più grigia e insensata. Ma la capacità di solitudine è e rimane per tutti una delle grandi sfide dell’età contemporanea. Imparare a gestirla nel modo giusto è condizione fondamentale e irrinunciabile del processo di umanizzazione.
Occorre però aver voglia di lavorare assiduamente su di sé, sapendo che nel faticoso e necessario scavo della propria vita interiore nessuno può sostituire nessuno…
Il problema vero è come si riesce a interpretarla e viverla. Sempre infatti la solitudine mette a contatto con le proprie profondità… e, se non si trova in se stessi una buona compagnia, è facile volerla fuggire.
Che cosa sono qui a cercare? Che cosa vive in me, nel mio spazio vitale? Quale logica mi orienta? Per ‘chi’ sto camminando?… Domande tutte che tracciano sentieri e invitano oltre; chiedono di affrontare il volto oscuro del mistero della vita; di entrare nel segreto del proprio cuore, là dove non contano ruoli, titoli, poteri e la forza è semplicemente pari ai propri ideali. Non c’è altra via per accedere a una vita finalmente emancipata dall’idolatria di se stessi, dall’istinto di autoconservazione… Certo la solitudine vuota di comunione rende vulnerabili e fragili; apre l’animo a fughe e tentazioni, a compensazioni, iperattivismo, egocentrismo… Dio diventa irreale, lontano. E si finisce per ritenersi criterio del giusto e dell’ingiusto, fino a diventare incapaci di leggere realmente e giudicare ciò che accade in sé e intorno a sé.
Bonhoeffer concretamente indicava: Chi non sa rimanere solo, tema la comunità. Chi non sa vivere nella comunità, si guardi dal restare solo. In realtà il mondo interiore di ogni uomo e quello esteriore hanno bisogno di incontrarsi, perché si nutrono a vicenda; se si trascura uno a causa dell’altro, o si considera uno più importante dell’altro, ci si impoverisce.
Una cosa è sicura: ogni scheggia di odio rende questo nostro mondo sempre più inospitale e invivibile. Necessario e urgente è aiutare a crescere la riserva d’amore che vive su questa terra. Grazie ad uno sguardo coltivato nella solitudine e nel silenzio – perciò carico di verità su di sé- si può riuscire a sentirsi ed essere solidali, in comunione con qualcuno.
Esporre, inoltre, la propria vita ai rischi del Vangelo libera da tutto ciò che è secondario, apparato, apparenza… La propria intimità si fa più spaziosa, si mette in relazione con ciò che abita la vita degli altri; si rigenera la passione per la vita. E in essa la bellezza di ogni incontro autentico.
Luciagnese Cedrone
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