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Pentitosi, andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti…

Dal Vangelo  di Matteo       Mt 21, 28-3

XXVI domenica1In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L’ultimo».  E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.  E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli». 

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Domenica scorsa abbiamo visto l’invidia dei primi credenti verso coloro che arrivavano al cristianesimo dal paganesimo o da una vita disordinata. Con il vangelo di questa domenica inizia una trilogia, che seguiremo per tre domeniche, in cui si incontra una realtà ancora più amara: i primi credenti, cioè gli Israeliti, il popolo dell’alleanza, non vuole accettare Gesù. Gesù entrato trionfalmente a Gerusalemme (Mt 21,1-11) si mette a insegnare nel tempio. Si avvicinano a lui i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo per chiedergli con quale autorità egli insegni. Ma Gesù risponde con una domanda a trabocchetto, chiedendo loro se il battesimo di Giovanni provenisse dal cielo o dagli uomini. Questo mise gli interlocutori in difficoltà perché la loro risposta avrebbe messo a nudo la loro vera opinione riguardo a Giovanni Battista. Così essi scelsero di non rispondere e furono disarmati nella loro offensiva (Mt 21,23-27). Allora Gesù continua il proprio insegnamento con tre parabole. 1. I due figli mandati a lavorare nella vigna (il vangelo di questa domenica) 2. I vignaioli omicidi (Mt 21,33-46) 3. Gli invitati alle nozze che rifiutano l’invito (Mt 22,1-14) In queste tre parabole si sottolinea il costante rifiuto della salvezza da parte dei capi d’Israele. E’ come una sintesi di tutta la storia di Israele. Il rifiuto si ripete sistematicamente, davanti a tutti gli inviati di Dio: Giovanni Battista, i profeti dell’Antico Testamento, il Figlio di Dio, i profeti del Nuovo Testamento, i missionari cristiani. Nella prima parabola, quella dei due figli, il rifiuto è verso il Padre e l’accento viene posto sul fatto che i pagani e i peccatori in fondo sono migliori del popolo eletto di Dio, poiché hanno accolto il messaggio di Giovanni Battista e poi di Gesù stesso. In quel tempo Gesù disse ai capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». Gesù, come suo solito, raccontando la parabola coinvolge i propri uditori ad emettere un giudizio. I suoi interlocutori qui sembrano essere in primo luogo i sommi sacerdoti e gli anziani con cui aveva avuto un piccolo dialogo sul battesimo di Giovanni Battista nei versetti precedenti. Già con questa domanda d’inizio (che ve ne pare?) li avverte che saranno chiamati in causa. Come nella parabola del figliol prodigo (Lc 15,11ss.) i due figli ci mostrano il modello di due comportamenti opposti che vengono esasperati per farci comprendere meglio il messaggio. Il figlio viene invitato “oggi” a lavorare nella vigna. L’oggi sottolinea l’importanza di aderire subito all’invito del Signore ad accoglierlo e a seguirlo. La vigna lega questa parabola con quella seguente dei vignaioli omicidi. La vigna nell’Antico Testamento è uno dei simboli più importanti per indicare Israele, il popolo prediletto da JHWH. Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. La risposta del primo figlio è secca e un po’ irrispettosa, come capita spesso nei dialoghi tra genitori e figli. Però, alla fine, si pente e va nella vigna, cambia direzione. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. Il padre rivolge la stessa domanda anche al secondo figlio. Costui risponde affermativamente, ma in un modo un po’ inusuale. Dice “Io, Signore!”, mettendo in risalto la propria buona volontà, la propria bravura. Ricorda un po’ l’atteggiamento del fariseo in Lc 18,9-14. Si può riflettere sul perché il secondo figlio dica di sì e poi non obbedisca. Forse teme troppo il padre/padrone, non crede che lui sappia rispettare la libertà del figlio, dice di sì per paura, non si prende la responsabilità delle sue azioni. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». Entrambi i figli sono stati incoerenti con quello che hanno detto. Però viene preferito colui che ha fatto ciò che era giusto, piuttosto di colui che lo aveva solo detto. Il fare è ciò che conta, il dire rimane sempre ambiguo. L’interpretazione che Gesù dà della parabola però va ancora più oltre. Non sottolinea soltanto il fare, ma il “pentirsi” (il verbo usato è metamélomai, proprio di Matteo, un po’ più debole di metanoeo, convertirsi). E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». La parabola di Gesù provoca un rovesciamento inatteso nei destinatari del regno. “Pubblicani e prostitute vi precedono nel regno di Dio”, ciò significa che essi prendono il posto dei capi di Israele. Esattori di imposte e prostitute non erano soltanto “pubblici peccatori”, ma anche i peggiori collaborazionisti col potere d’occupazione romano, e i meno preoccupati di raggiungere il Regno di Dio. Ma almeno “alla fine” si sono pentiti, e pentendosi hanno fatto di più per il regno di tutti quegli osservanti che vi hanno creduto solamente a parole. La sfida del regno si gioca dunque a partire dall’accoglienza e dall’adesione alla predicazione penitenziale del Battista (cf. le parole di Mt 11,12 sui “violenti” che si impadroniscono del Regno). Anche se la venuta di Giovanni è distinta da quella di Gesù nei tempi e nei modi, tuttavia esse sono strettamente legate. Rifiutare l’una significa rifiutare l’altra. Nel v. 32 viene ripetuto tre volte il verbo “credere”. In questo contesto significa “obbedienza” alla “via della giustizia” predicata da Giovanni, che è la stessa “via di Dio” insegnata anche da Gesù (Mt 22,16), cioè la volontà del Padre che è nei cieli. Gesù e Giovanni sono coloro che hanno compiuto “ogni giustizia” (cf. Mt 3,15). La mancanza di fede in Giovanni è una mancanza di fede in Gesù, e questa parabola – con la sua attualizzazione è la migliore spiegazione alla controdomanda che Gesù aveva fatto ai sommi sacerdoti e agli anziani: “Il battesimo di Giovanni proveniva dal cielo o dagli uomini?”.

Meditiamo

– Come vedo Dio padre? Come un padrone severo, pronto a dare ordini e a punire?

– Qual è il mio atteggiamento verso la Parola di Dio? La vedo come un insieme di comandamenti da rispettare o come una storia di salvezza che entra nella mia vita?

– Mi è mai capitato di pentirmi dei “no” che ho detto al Signore? Al contrario, mi è mai capitato di parlare tanto della volontà di Dio, ma poi di non compierla nella mia vita?

Monastero Matris Domini – Bergamo