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La ‘Casa della tenerezza’ per disabili

Snehonir, la ‘Casa della Tenerezza’ per disabili

BANGLADESH_-_0220_-_P__CagnassoUna struttura per l’accoglienza, il conforto e la riabilitazione dei disabili, dove tutti gli ospiti “si danno da fare nello spirito del reciproco aiuto”. È “Snehonir”, la “Casa della Tenerezza” di Rajshahi, dove le suore della congregazione locale Shanti Rani (Regina della pace) e i padri del Pime (Pontificio istituto missioni estere) accolgono bambini e ragazzi con disabilità mentali e fisiche, sordomuti, ciechi e bambine sfregiate con l’acido. Non solo: la casa si prende cura anche di bambini senza disabilità, orfani o provenienti da famiglie molto povere che non hanno la possibilità di allevarli.

Ad AsiaNews p. Franco Cagnasso, missionario Pime in Bangladesh, da sei anni co-direttore della casa, riferisce che “l’obiettivo comune è l’aiuto reciproco, la convivenza gioiosa e senza complessi, l’impegno a dare il meglio per costruirsi un futuro quanto più indipendente possibile”.

Il sacerdote riferisce che “la struttura è nata per caso 25 anni fa nella missione di Rohanpur [nella diocesi di Rajshahi, creata dal Pime e ora affidata a sacerdoti locali– ndr]. A dare inizio a tutto sono stati sr. Gertrude, p. Gianantonio Baio e p. Mariano Ponzinibbi, quando un padre disperato consegnò alla parrocchia suo figlio Robi, di quattro mesi, la cui mamma era morta. A quel tempo non c’era alcun programma di assistenza per i bambini, ma loro decisero di tenerlo e di trovare una madre adottiva.

20180220Photo1A nove mesi Robi contrasse la poliomielite e rimase paralizzato. Oggi, grazie alla fisioterapia di sr. Gertrude e alle cure amorevoli delle suore e della signora che ha accettato di fargli da madre, si muove in maniera autonoma con la sedia a rotelle, si è laureato e gioca a cricket”.

Da quella prima esperienza, p. Cagnasso riporta che al momento la “struttura accoglie 43 persone tra bambini e ragazzi. La più piccola ha cinque anni e il più grande, Robi, 26. In tutto, lavorano 10 persone”. “Il principio che ispira la convivenza nella struttura, – continua – che negli anni ha mantenuto un’impostazione familiare, è l’aiuto reciproco tra persone disabili e ‘normodotati’. Non esiste una divisione tra servitori e serviti, ma solo bambini con abilità diverse che si mettono a disposizione degli altri e collaborano per quel che possono, per esempio a fare i compiti o a spingere la carrozzina. I più grandi aiutano i piccoli”.

Sr. Dipika Palma ha ereditato la missione di sr. Gertrude. La casa offre “un’educazione di base elementare sui principi del cristianesimo. Accogliamo tutti, cattolici, indù e musulmani”. Con il passare degli anni, la struttura si è dotata di insegnanti del linguaggio braille e dei segni, “per consentire anche ai bambini sordomuti e non vedenti di apprendere”. Inoltre “non esiste un tempo massimo di accoglienza dei malati e dei poveri. Rimangono con noi fin quando ne hanno bisogno”.

Ad ogni modo, “appena possibile, i ragazzi vengono spinti a frequentare le scuole locali, perché non vogliamo che si crei una sorta di ghetto. Tutta la nostra opera ha uno scopo ben preciso: cerchiamo di avviarli alla vita, ad integrarsi nella società, a trovare un lavoro”. “Fa piacere sapere – conclude – che chi è uscito, si è realizzato nella vita. Per esempio Flora, la seconda bambina accolta dalle suore, non era mai stata accettata dal padre perché malata di poliomielite. Ma oggi lavora con la Caritas ed è lei a mantenere il padre malato. Insieme ad altri ragazzi sta pensando di creare un’associazione di ex alunni, gli ‘Amici di Snehonir’”.

Da: Asianews.it