Tra le altre forme voglio segnalare che anche il “genio femminile” si manifesta in stili femminili di santità. Così papa Francesco al n. 12 della recente Esortazione apostolica Gaudete et exsultate.
Ognuno è se stesso, da piccolo e da grande. Pertanto ognuno, se coerente, si esprime secondo la propria identità. Il papa stesso chiarisce: “siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova” (Ge 12). Io e miliardi di altre donne presenti su questo mirabile cosmo, pur in situazioni anche opposte, abbiamo una unica finalità che è espressa in un ordine divino: “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). E’ un imperativo. Di lì non si scappa. Lo vuoi o non lo vuoi, la vocazione di ogni persona è alla santità, alla perfezione dell’amore ed ognuno/a la esprime secondo le proprie peculiarità. Non c’è altra strada. Ed è entusiasmante. Costi quel che costi. Scrive ancora papa Francesco: “Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr Gal 5,22-23) (GE 15).
E Dio, venuta la pienezza dei tempi, in Gesù Cristo, ce ne ha tracciato il percorso ben dettagliato nel Vangelo: è il percorso delle Beatitudini. Un percorso decisamente nuovo, ‘controcorrente’, non facile, ma affascinante. Si tratta di essere poveri in spirito, vivere un‘esistenza austera e povera, “indifferenti verso tutte le cose create”; salute e malattia, ricchezza e povertà, onore e disonore, vita lunga o breve e così via… (GE 69).
Ma non basta. Gesù propone di essere miti e misericordiosi. L’agitazione e l’arroganza producono stanchezza, perciò “è meglio essere sempre miti, e si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti avranno in eredità la terra” (GE,74). Il papa richiama la misericordia come capacità di perdono e chiarisce: “dare e perdonare è tentare di riprodurre nella nostra vita un riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante” e conclude deciso: “Guardare e agire con misericordia, questo è santità” (GE 81-82).
E non basta ancora. La scalata è bella anche se faticosa: per giungere alla santità è necessario anche essere ‘puri di cuore’ e ‘operatori di pace’. La prima – secondo il papa – si riferisce a “chi ha un cuore semplice, senza sporcizia, un cuore che sa amare… Il Signore si aspetta una dedizione al fratello che sgorga dal cuore”.
La seconda, forse impegna proprio nel nostro tempo, con una visione alla globalità delle situazioni: sempre e comunque spargere spruzzi di pace, leggeri ma fecondi.
“Essere nel pianto” e “perseguitati per la giustizia” secondo Gesù non sono una calamità. E’ beatitudine. Scrive il papa: “La persona che vede le cose come sono realmente, si lascia trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore è capace di raggiungere le profondità della vita e di essere veramente felice. Quella persona è consolata, ma con la consolazione di Gesù…. Così può avere il coraggio di condividere la sofferenza altrui e smette di fuggire dalle situazioni dolorose. In tal modo scopre che la vita ha senso nel soccorrere un altro nel suo dolore, nel comprendere l’angoscia altrui, nel dare sollievo agli altri” (GE 76).
sr Biancarosa Magliano,fsp
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