La nostra epoca esige ogni giorno delle persone dai livelli di solidarietà e di benevolenza mai richiesti in precedenza. Charles Taylor
Nonostante alcune scarse eccezioni, tutti siamo contenti di vivere nell’oggi, immersi nelle sue angosce, legittime, e nelle sue interessanti positività. Possiamo rimpiangere momenti singoli, di particolare significatività per noi e per chi viveva con noi, ma il progresso tecnico e scientifico, artistico e manifatturiero, un po’ ci sbalordisce e ci piace. Godiamo. E, simultaneamente, non possiamo non lasciarci scuotere da quei poveri naufraghi che, fuggiti da situazioni particolarmente avverse, non sanno dove approdare, o da quei poveri anziani, spesso in carrozzella nei nostri pur ridenti parchi, ma che non sanno su chi contare; dai giovani che ambiscono sicurezze su cui potersi appoggiare senza patemi d’animo. E i bambini? Essi si trovano nella felice incapacità di potersi preoccupare per un ‘futuro migliore’…
Il nostro autore, filosofo e politico, scrittore di talento, è tassativo: “La nostra epoca esige ogni giorno”. Egli ha piena coscienza della situazione empirica, quasi paradossale che ci tocca vivere e che non permette dilazioni. Guai rimandare al domani. Ogni giorno sentire e vivere e condividere le tristezze, le fatiche, le passioni. Fare nostri i desideri, le aspirazioni, i sogni altrui, ma anche le angustie, i dolori piccoli e grandi.
Papa Francesco nel n. 87 di Evangelii Gaudium scrive testualmente: “Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo”.
Poco più avanti aggiunge:
“Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un «piccolo gregge» (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità” (EG 92).
Ecco: noi e gli altri, tutti. Noi e gli altri sempre, sopratutto quando l’altro è in difficoltà. E’ l’amore cristiano.
Biancarosa Magliano, fsp
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