Nella casa dei gesuiti la prima comunità per padri con bambini
Quando è la mamma a smarrire l’orizzonte del benessere e della serenità per i propri figli deve esserci un’alternativa al naufragio familiare. Ne sono convinti i giudici del tribunale dei Minori di Torino, che da anni auspicano progetti in grado di coinvolgere i papà nella salvaguardia del ruolo genitoriale in situazioni di estrema fragilità o totale assenza delle madri.
Perché accanto a donne in fuga da case trasformate in prigioni di abusi e violenze ci sono anche mamme protagoniste di abbandoni. E padri che vorrebbero prendere in mano il timone ma hanno le mani legate a causa della mancanza di strutture che li sostengano nel loro percorso. Che la cura non debba declinarsi esclusivamente al femminile lo dice però anche la delibera regionale 25 del 2012, laddove sostituisce l’espressione «comunità madre-bambino» con la più ampia «comunità genitore-bambino». In apparenza una semplice variazione terminologica. A uno sguardo più attento una vera rivoluzione culturale che vede la luce oggi, per la prima volta in Italia, con la nascita di una comunità dedicata ai papà con figli minori.
Un progetto frutto di «un’alleanza per i più fragili» stretta dal gruppo Abele con la Compagnia di Gesù, che ha messo a disposizione dell’associazione di don Luigi Ciotti la suggestiva dimora storica di Villa Santa Croce a San Mauro Torinese. Dagli inizi del ‘900 la struttura immersa nei boschi della collina ha accolto migliaia di persone in cerca del senso dell’esistenza attraverso il silenzio, la riflessione, la pratica degli esercizi spirituali. Da oggi sarà la casa di chi attraversa la sofferenza e sogna un orizzonte più sereno. «Avremo spazi dedicati a un progetto di accoglienza di donne profughe e un piano intero destinato ad accogliere i nuclei padre-figlio», spiega Mauro Melluso del gruppo Abele, responsabile della comunità che sarà inaugurata a settembre, al termine di alcuni interventi di ristrutturazione. «Finalmente si potrà dare ai bambini una risposta che non è esclusivamente quella dell’affido extrafamigliare. Abbiamo già approntato un’equipe di educatori e psicologi, siamo pronti alla sfida».
«In un momento in cui il mondo ha grande paura di chi è in difficoltà, di chi è schiacciato da sofferenza e povertà, noi scegliamo di mettere i più fragili al centro, seguendo l’invito di papa Francesco a posare lo sguardo sulle tante croci del mondo», spiega padre Remondini, presidente della Fondazione Sant’Ignazio di Trento e incaricato del Provinciale per il progetto apostolico gesuiti-laici nell’area torinese.. «I poveri – sottolinea – sono sempre stati i veri padroni delle nostre strutture. Ci affidiamo al gruppo Abele perché li aiutino a riprendere i fili delle loro vite».